giovedì 10 settembre 2015

In montagna con se stessi

Qui l'audio

Soli in montagna? è pericoloso! e poi che noia non poter parlare con nessuno…asociale! mi viene subito alla mente una scena per me fin troppo frequente in questi anni: “Quasi amici delle 22.15”, “Un biglietto solo??” mi risponde la cassiera del cinema con un tono tra il meravigliato e un sadico compatimento, ”Uno, sì” le rispondo sorridendo compiaciuto;

intanto i miei occhi tradiscono un “Sarò libero di andare al cinema per i fatti miei senza per questo essere uno sfigato…ma tu hai bisogno di un supporto psicologico per guardare un film? Ah, ma forse sei una di quelle che va in coppia per chiacchierare durante la proiezione e disturbare chi, come me, vuole godersi lo spettacolo in santa pace…” e quindi? E quindi perché non godersi anche da soli una camminata? I sensi sono molto più ricettivi a ogni minimo stimolo, i pensieri possono vagare senza alcun vincolo e magari lasciarsi accompagnare dalla neve che in inverno scricchiola allegra sotto gli scarponi…meglio se è una scelta e non un ripiego però…ma si può solo camminare da soli? No, ovviamente; altre due dimensioni della solitudine sono la corsa e l’arrampicata senza corda. La prima è per me ormai una scelta frequente mentre la seconda, una dimensione senza appello, l’ho sperimentata poche volte diversi anni fa per poi abbandonarla, per quanto a volte la sua voce si faccia ancora sentire come quella di un’ammaliatrice sirena…io però ad Ulisse non assomiglio proprio e la corda la uso per legarmi e non per farmi legare ;-)


Arrampicata in solitaria e corsa quindi: tanto diverse in apparenza ma in fondo simili. Diverse perché correre fa il paio con velocità mentre arrampicare slegati, per quanto si possa essere veloci (rispetto alla progressione in cordata), rimane sempre uno dei modo di spostarsi più lenti per noi umani; avete mai osservato delle formiche muoversi su di un muro? Potrei dire correre, in rapporto alle loro dimensioni…beh, non mi pare usino alcun sistema che renda sicuro il loro incedere sbarazzino…simili perché si discostano nettamente dal vivere il sentiero o la parete che ha la maggior parte di chi pratica queste attività; diversi perché il rischio che si assume chi corre su di un sentiero, anche se esposto, non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello che accetta chi scala senza corda…e ancora, simili perché la percezione corporea si dilata così come il tempo: sembra un controsenso: ma come? Sei più veloce e il tempo scorre più lentamente?? Non sono folle ma chi è avvezzo a questi “passatempo” sa di cosa parlo…non sempre ma spesso si entra in una sorta di stato di grazia in cui ci si estranea, tutto rallenta e si osserva dall’esterno se stessi e quanto sta intorno e poi...e poi? E poi in un attimo questa condizione si esaurisce e ci si rende conto di quanto si è veloci o di quanti metri di vuoto separano i propri piedini da terra!


Il sentiero che risale il canalone del Sass Pordoi si snoda con i suoi stretti meandri sotto di me; lo percorrerò tutto senza scorciatoie che potrebbero far cadere dei sassi su chi sta camminando …sono le quattro del pomeriggio quando arrivo al rifugio; scendo poco sotto, abbandono il materiale per il bivacco di questa notte e decido di fare un sopralluogo ai piedi della parete Nord Ovest della Punta dell’Albigna, dove domani percorrerò la via “Modern zeiten” per poi continuare fino in cima; mi porto anche tutto il materiale da arrampicata…perché poi? Non lo so: lo porto e basta …

riempio i polmoni e comincio a correre mentre la musica dei Queen dà il ritmo alle mie falcate sui grossi sassi di questo canale. Occhi e piedi in un cortocircuito che esclude il cervello; tutto avviene senza che debba pensare a nulla, corro…

arrivo all’attacco della via, guardo in su; mi perdo nei pensieri più strani poi…no, non posso aspettare fino a domani, le mie mani vogliono salire ora! Decido di portare con me due mezze corde per un’eventuale discesa di emergenza, che dovrà dipendere solo da un cambiamento del tempo. Sì perché non posso permettermi di non essere sicuro di salire questi 450 metri. La difficoltà massima (V+) è ben inferiore alle mie capacità; so che dove posso salire posso anche scendere, so che non posso sbagliare… 

sono alla parte più ripida; ora dovrò usare anche le mani come appoggio, il ritmo si abbassa un poco; un errore potrebbe essere pericoloso; sento gli appoggi per i piedi come fossero mani, le gambe si piegano, il mio baricentro si abbassa…

parto: i primi movimenti non sono fluidi, sono teso, “No! Così non va! Ora scendo!” mi ripeto per una decina di metri…

incontro una signora di mezza età che scende a passi incerti, si ferma e con occhi sbarrati mi guarda come se avesse appena visto un alieno. “No! Non sono un alieno; sto solo scendendo un po’ velocemente. Perché?! Perché mi va, perché mi sento Vivo, perché correre mi dà gioia, perché è un gioco continuo di equilibri, perché saranno anche affari miei!” vorrei gridarle…

mani e piedi finalmente si accordano su di un ritmo comune e ogni movimento diventa una piccola scarica di piacere, è perfetto, senza sbavature, rotondo ed elegante come deve essere; mi sento leggero, nonostante lo zaino con le corde…d’altra parte sono veramente solo; nessuno sa che sono qui e tagliarsi ogni possibilità di ritirata sarebbe un vero suicidio...ma questi pensieri non occupano nemmeno per l’istante di una folata di vento la mia testa; non c’è posto neanche per un “io non posso cadere”, figuriamoci per un “ma cosa diavolo ci faccio qui??ma chi me l’ha fatto fare??”…sono quello che sto facendo e nient’altro…sono le mie mani e i miei piedi e ogni singola cellula che si muove in me e con me e si lascia accarezzare da questo vento…

ora il ghiaione è più fine e mi lascia scivolare tagliando gli ultimi tornanti poi i prati e la pendenza diminuisce; alla durezza aspra della pietra si sostituisce il morbido dolce dell’erba; posso nuovamente distendere le gambe, corro, salto e dopo un quarto d’ora di discesa sono al parcheggio della funivia: sono felice! Sembra banale ma è l’unico aggettivo che riesco ad associare a quel momento… 

il sole si abbassa e sfiora l’arcigna parete Nord facendola sorridere…io sorrido un po’ meno visto che mi manca ancora il tiro più “difficile”; arrivato a un terrazzino mi riposo qualche minuto e poi via! Respiro senza affanno e quasi non mi accorgo della difficoltà Ancora qualche lunghezza facile…sbaglio direzione, scendo e risalgo…mi vengono ancora i brividi quando ripenso a quegli istanti…come in trance dopo un’ora e mezza sono in cima alla parete. Rido…ride tutto il mio corpo insieme a un pigro sole di luglio che non ha alcuna voglia di tramontare…

Il giorno dopo scalerò una via più facile, la Meuli e arriverò sulla vera vetta dopo una cavalcata di 700 metri con pochissime pause…e il selfie sulla cima? Non si usava ancora ma non lo scatterei nemmeno oggi…quel momento non aveva bisogno di alcuna foto per essere ricordato…



PS: naturalmente, in assoluto, la discesa e la salita raccontate non sono nulla in confronto a quanto molti altri hanno fatto e faranno. Si tratta solo del racconto di due esperienze. Ognuno è libero di scegliere come andare in montagna; non esiste un modo migliore o un modo che vale di più ma esiste il modo (o i modi) che ciascuno si sceglie perché lo fa (fanno) sentire bene, in pace con se stesso e con l’ambiente che lo circonda. L’arrampicata solitaria senza corda è, a mio parere, la forma più pura di questo gesto, quella più esaltante, quella che dà più gioia ma anche quella più egoistica e che può dare più dolore a chi ci sta vicino… un dolore che, a posteriori, ritengo sia inaccettabile imporre a chi ha la sola “colpa” di volerci bene. C’è un tempo per ogni cosa, credo…conta il viverlo il più intensamente possibile e possibilmente (ma oggi direi obbligatoriamente) poterlo raccontare ;-)



dalla vetta aguzza della Punta dell'Albigna


il mio bivacco...poco sotto il rifugio ;-)

il canale del Sass Pordoi



Nessun commento:

Posta un commento